Il bambino nella neve

By on Giu 12, 2016 in Contemporaneità, Letteratura

Non fosse stato per la recensione di Corrado Augias, che mi descrivono sgradevole come persona almeno quanto è eccelso come intellettuale, non avrei letto neppure una riga di Wlodek Goldkorn, un ebreo polacco figlio di ebrei polacchi, comunisti per giunta. Non ce la faccio più a leggere il dolore. Ogni riga, ogni immagine, ogni pensiero che riguarda la Shoah mi è divenuto intollerabile. Lo evito come un dolore autoinflitto. Un male che si ripresenta più forte ogni volta che l’antisemitismo – l’origine di tutti i mali: il caposaldo di ogni nazionalismo e di ogni razzismo – continua a manifestarsi declinato in modi solo apparentemente nuovi; l’antisemitismo è la manifestazione più banale e più ripetitiva che esista, sempre uguale da duemila anni.

Il libro che non avrei dovuto leggere si intitola “Il bambino nella neve” (Feltrinelli). E’ scritto da un autore che di mestiere racconta le storie degli altri e che non aveva mai scritto sulla propria. La faccio corta: è un libro sulla memoria, un viaggio le cui tappe sono Cracovia, Varsavia, Auschwitz, Bełz•ec, Sobibór, Treblinka.

Non è un libro per ipocriti. Per le animucce che vanno a vedere Schindler’s List e poi mangiano il gelato. Quelli a cui è piaciuta tanto “La vita è bella”, ma non sanno chi sia Primo Levi. E’ un libro scritto nella lingua durissima di chi è nato e cresciuto in Polonia, soggetto predicato complemento. La lingua di chi sembra aver preso appunti incidendo il cuoio col coltello. Chi scrive è il figlio di ebrei polacchi comunisti nonostante tutto convinti di poter costruire dopo Auschwitz un paese più giusto.

Un paese che nel ’68, all’apice dell’ennesimo pogrom, li ha cacciati. (La mia vicina di casa, dolce giovane signora polacca, era convinta che fossero ancora milioni gli ebrei del suo paese. Si è convinta del contrario solo dopo una visita alla famiglia che sta a Varsavia. Ma allora, mi ha chiesto sinceramente stupita, dove sono andati tutti? Su per il camino cara, le ho risposto. Li avete mandati voi polacchi, entusiasti all’idea che le SS vi avrebbero liberato da loro…).

Non troverete minuetti in questo libro e neppure concessioni al senso comune né alla diplomazia. Di Auschwitz i sopravvissuti non potevano parlare nella Polonia stalinizzata: era antipatriottico dicevano loro. Il dramma non riguardava gli ebrei quanto piuttosto il glorioso popolo sovietico, che a prezzo di milioni di morti aveva liberato la Polonia. (Delle fosse di Katyn acqua in bocca)

Di Auschwitz non si poteva parlare neppure in Israele: i sopravvissuti, riconosciuti dai giovani sionisti nati nel dopoguerra dal tatuaggio sul braccio, erano chiamati con sprezzo “saponette”. Perché colpevolmente inermi secondo la vulgata Sabra. Perché, come ci dice Goldkorn, la vittima che ha introiettato il carnefice si comporterà come tale.

Non si fanno sconti a nessuno: neppure ai partiti della sinistra che tacciono sul pogrom del ’68 in Polonia, sui crimini dello stalinismo, sul fastidio chè dà Istraele: perbacco, sono le gloriose masse popolari parabo-palestinesi gli sfruttati della Terra!.

Ma non si fanno sconti neppure a Tsahal, l’esercito israeliano che il Governo ama presentare come puro, nobile, “l’esercito più morale del mondo”, in cui Goldkorn presta servizio e poi abbandona perché si rifiuta di puntare il fucile contro un bambino arabo, perfetta replica della fotografia scattata al piccolo ebreo di Varsavia rastrellato dalle SS.

Non si fanno sconti neppure ad Auschwitz trasformata dai tour operator in una sorta di Disney dell’orrore con gli “oggetti della testimonianza” ordinatamente accatastati come in un museo. Come se dice Goldkorn le migliaia di paia di occhiali, i capelli, le valige, le scarpe fossero allora in quell’ordine.

A cosa serve la memoria, perché scrivere sulla memoria del dolore, perché leggerla? La memoria del male, la banalità del male, dice ancora Goldkorn, è come il canarino che i minatori portavano in galleria. Un animaletto sensibile il cui silenzio avvertiva non si sa quanto in tempo della presenza del gas venefico.

Per quanto dolorosa essa sia, non si può vivere senza memoria. Per quanto faticoso e disperatamente inutile possa apparire, non si può non combattere l’ignoranza, l’ipocrisia, la menzogna. Ogni giorno, tutti i giorni, siamo tutti ebrei, negri, omossessuali. E quando ci puntano il fucile addosso siamo anche palestinesi.