Cosa può fare un uomo (maschile espanso) dabbene cresciuto nel sacro timore d’ignoranza, educato a dubitare per prima cosa di sé stesso, se il caso lo pone di fronte a un plotone d’esecuzione pronto a sparare una proposizione come questa?
“La costituzione d’essere dell’Esserci implica allora che l’Esserci, nel suo essere, abbia una relazione d’essere col proprio essere. Il che, di nuovo, significa: l’Esserci, in qualche modo e piú o meno esplicitamente, si comprende nel suo essere. È peculiare di questo ente che, col suo essere e mediante il suo essere, questo essere è aperto ad esso. La comprensione dell’essere è anche una determinazione d’essere dell’Esserci. La peculiarità ontica dell’Esserci sta nel suo esser-ontologico”.
Il Novecento, secolo senza fine riavvolto su sé stesso in un gomitolo di eterno ritorno, continua a metterci alla prova. La banana appiccicata al muro è arte o scaltra imitazione di Duchamp? il nazista è l’invasore o chi è stato invaso? può essere definito “progressista” chi scende a patti con Kirill? davvero basta rivendicare la Groenlandia per fare di nuovo grande l’America? E giusto per tornare al memorabile scioglilingua virgolettato di cui sopra, “Essere e tempo” è un capolavoro del pensiero filosofico, un catalogo di tautologie o entrambe le cose? (Forse è il caso di citare Holderlin, il poeta prediletto da Heidegger, dove c’è il pericolo, là c’è la salvezza?).
Sia quel che sia – fermo restando che difficilmente una schwa può arginare il mare – beati gli uomini (maschile espanso) di scienza. Il loro mondo non è falsificabile. Non è soggetto a ideologie. Neppure le mode epistemologiche riescono a inquinarlo. Prendiamo ad esempio una proposizione come questa
contrariamente a quella sopra citata non è contestabile. La prima, un elegante mantra tipo “Nam-myoho-renge-kyo”, sfugge alla verifica; la seconda dimostra ogni giorno la propria consistenza.
Dunque cosa può fare un onest’uomo – un uomo dabbene cresciuto nel sacro timore d’ignoranza – lasciato solo alle soglie di un secolo così post-moderno da risultare perfettamente sovrapponibile a quello precedente? Insomma, ci vorrebbe un amico per tirarsi fuori dalle peste: i bene informati dicono che si palesano nelle forme più inattese. I miei si manifestano sotto la forma pacata e a volte persino dimessa di sostanza cartacea; amici pazienti, a volte hanno atteso mesi se non anni; amici la cui conversazione ti cambia l’esistenza. L’incontro con il libro è il più mirabile degli incontri: ci dà l’essere in purezza senza le fisime, le meschinità se non i veri e propri miasmi dell’uomo (della donna) che l’ha pensato e scritto (la letteratura è una costellazione di spergiuri, alcolizzati, ladri, assassini, stupratori).
Ci sono libri che ti cambiano la vita, amori che durano tutta la vita. Colpi di fulmine che ti stordiscono per la profondità dei sentimenti che rilettura dopo rilettura continuano a suscitarti. Ho amato Thomas Mann, ho amato Marcel Proust. (Un amore senza speranza: ho chiesto loro di contagiarmi e non mi hanno ascoltano). Poi, accanto ai folgoranti amori di gioventù, ci sono le passioni ancillari, i dialoghi della maturità, i pacati incontri senili. Sono conversazioni non dico tra pari (chi potrebbe paragonarsi a Brodskij, a Auden, ad Auerbach?) che aiutano la comprensione di una poesia, un romanzo, una postura culturale, un evento; amici che al puro costo di copertina ti aiutano ad essere meno stupido, meno sciocco, meno provinciale. In una parola meno ignorante.
Con Alfonso Berardinelli è stato un incontro tardivo. L’ho scoperto solo qualche anno fa. Prima, quando lui battagliava con Piergiorgio Bellocchio, ero impegnato a sopravvivere, a brigare le cose del mestiere mio, bottega ingorda di tempo e di energie. L’ultimo Berardinelli che ho sul tavolo si intitola “Stili dell’estremismo”. È lì che ho tratto l’esilarante citazione heideggeriana. Leggerlo, il Berardinelli intendo, è come bere un flûte di champagne. Donandogli allegria e leggerezza consente a ogni onest’uomo di dare forma a pensieri che non osava permettersi nel timore di esprimere presunzione, arroganza e supponenza in luogo di riflessione, conoscenza, sapienza. Qual è la differenza che corre tra l’inarrivabile solitudine del genio e la sòla? Come distinguere la profondità dal ruminare le parole sino a renderle prive di senso e significato? L’Inizio, il Mito, il Nulla, l’Essere, l’Oriente, il Permanente, l’Immutabile…
Si narra che alla domanda perché “l’essere è e non può in alcun modo non essere” Umberto Eco rispondesse lapidario: “perché sì”. Forse è tempo che ogni uomo dabbene impari a rispondere così.
Post scriptum
(Una glossa a “Essere e tempo”)
Il lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco, e gnagio s’archipatta.
È frusco il lonfo! È pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e t’arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.