Una certa idea di Europa

By on Apr 16, 2014 in Contemporaneità, Letteratura

George Steiner è un raffinato intellettuale, docente di letteratura comparata, allievo di Gershom Scholem, lo straordinario studioso di mistica ebraica. Ha scritto molti libri fondamentali di storia delle idee, filosofia, letteratura. Guardando le foto del suo volto su wiki – solo le persone superficiali non badano alle apparenze – non si può non provare affetto e immediata simpatia per quest’uomo colto e gentile. E, come tutte le persone gentili, molto fermo nei principii. Se avrete la curiosità di leggere Una certa idea di Europa (2005, Garzanti) ne avrete dimostrazione pratica. E’ un piccolo, semplice saggio che spiega nel modo più immediato perchè l’Europa sia: a) un “posto” unico al mondo b) un ecosistema socio-culturale più fragile della barriera corallina (e molto, molto più prezioso aggiungo io).

L’Europa è il posto dei caffè:

dai locali di Lisbona amati da Fernando Pessoa, ai cafès di Odessa frequentati dai gangster di Isaac Babel. Dai caffè di Copenaghen, quelli di fronte ai quali passava Kierkegaard nel suo meditabondo girovagare, fino a quelli di Palermo. Non si trovano caffè archetipici a Mosca (per forza: è già la periferia dell’Asia!). Ce ne sono pochissimi in Inghilterra, dopo una fugace moda nel diciottesimo secolo. Non ce ne sono nell’America del Nord, con l’eccezione dell’avamposto francese di New Orleans. Basta disegnare una mappa dei caffè, ed ecco comparire indicatori di una certa idea di Europa. l caffè è il luogo degli appuntamenti e delle cospirazioni, del dibattito intellettuale e del pettegolezzo. E’ aperto a tutti, e al tempo stesso è un club, una massoneria di identità politiche o artistico-letterarie. Frequentarlo implica già una scelta programmatica. L’ultimo incontro tra Danton e Robespierre ha avuto luogo al Cafè Procope. Quando si spensero le luci d’Europa, nel 1914, Jaurès venne assassinato in un caffè. Ed è stato in un caffè di Ginevra che Lenin ha scritto il suo trattato sull’empirio-criticismo e giocato a scacchi con Trotzkij.

L’Europa è il posto del cammino:

“L’Europa è stata, e viene ancora, camminata. E’ un elemento fondamentale. La cartografia dell’Europa è il frutto delle possibilità del piede umano, dagli orizzonti che può far percepire. Uomini e donne hanno tracciato queste mappe, camminando di casolare in casolare, di villaggio in villaggio, di città in città. In genere le distanze hanno una scala umana, possono essere percorse da chi viaggia a piedi. Alcune delle componenti fondamentali del pensiero e della sensibilità europee sono pedestri, nel senso etimologico del termine. La loro cadenza, la loro sequenza sono quelle del camminatore. Nella filosofia e nella retorica della Grecia antica, i peripatetici sono, alla lettera, coloro che viaggiano a piedi da polis a polis, e anche i loro insegnamenti sono itineranti.. Nella metrica e nelle convenzioni poetiche occidentali il “piede”, il “battito”, l’enjambement tra versi e stanze ci ricordano l’intimità tra corpo e immaginazione.

La Fussgang di Immanuel Kant, il suo cronometrico attraversamento di Konisberg, sono diventati leggendari come gli ampi vagabondaggi di Kierkegaard per Copenaghen. Holderlin se ne è andato a piedi dalla Westfalia a Bordeaux e ritorno. Il giovane Wordsworth ha camminato da Calais a Berna e ritorno. Coleridge, uomo assai corpulento e segnato da diversi malanni fisici, aveva l’abitudine a camminare venti o trenta miglia per diem mentre componeva poesie. Torna alla mente l’enigmatica profezia di Benjamin: in tutte le allegorie e leggende europee il mendicante che bussa alla porta, emissario di Dio o del demonio, arriva a piedi.”

L’Europa è il posto della memoria:

Le strade e le piazze dove camminano uomini, donne e bambini europei hanno preso il nome da statisti, generali,  scienziati, poeti, artisti, compositori e filosofi. E’ la sovranità del ricordo, questa auto-definizione dell’Europa come lieu de la mémoire ha però un suo lato oscuro. Le targhe affisse sui muri commemorano anche secoli di massacri e di sofferenze, di odio e sacrifici umani. L’Europa è il luogo dove il giardino di Goethe quasi confina con Buchenwald. In Europa anche i bambini si piegano sotto il peso del passato come si piegano sotto il fardello di zaini scolastici troppo pesanti. Ma a che serve? Quando Paul Celan si è gettato nella Senna per suicidarsi ha scelto il punto esatto cantato dalla grande ballata di Apolinnaire, e questo punto si trova proprio sotto la finestra della stanza in cui Marina Cvetaeva ha trascorso l’ultima notte prima di tornare alla desolazione e alla morte in Unione sovietica. Un europeo colto si trova intrappolato nella ragnatela di un “in memoria” insieme luminoso e soffocante.”

Come far sopravvivere l’Europa?

“Odi etnici, nazionalismi sciovinisti, pretese regionali sono state l’incubo dell’Europa. La pulizia etnica e il tentativo di genocidio nei Balcani sono solo gli esempi più recenti di una peste che si estende dall’Irlanda del Nord ai Paesi Baschi. E’ legittimo ritenere che la diffusione globale dell’anglo-americano a livello linguistico, la standardizzazione tecnologica della nostra vita quotidiana, l’universalità di internet, ci stiano conducendo a grandi passi verso l’abolizione delle frontiere e degli odi atavici: verso l’unione dell’Europa che mai più dovrà soccombere a una guerra intestina. Ma questa è solo una faccia della medaglia.”

 “Ma come è possibile trovare un equilibrio tra le richieste contraddittorie dell’unificazione politico-economica e quelle della creatività dei particolarismi?” si chiede Steiner.

Purtroppo non ha risposte. Non ne ho neppure io. L’unica cosa che confusamente so, è che l’idea d’Europa è il bene più prezioso che ci resta. Dobbiamo difenderla in ogni modo dai suoi più acerrimi nemici: i buro-banchieri e i populo-fascisti. In questo momento, non so chi sia il peggiore.