Ieri sotto le mie finestre sono sfilati i pro-pal. Tutto come da copione: altoparlanti a palla, bandiere, slogan a tema, poliziotti in assetto antisommossa, elicotteri in cielo. Poi, complice forse una variazione di percorso non concordata, il corteo s’è piantato e per un bel pezzo non s’è mosso più. Come da consuetudine, insieme alla piccola folla dei manifestanti la cui ferocia si è limitata al repertorio degli slogan d’ordinanza, pare agissero una trentina di solerti incappucciati dediti come da tradizione allo sfascio delle vetrine.
Sono troppo vecchio per inquietarmi, ma non ancora così vecchio da non provare stupore. Non per la quantità di bandiere, stendardi e bandieroni – suppergiù uno per manifestante; non per la tranquillità dei cani in manifestazione (i pro-pal nostrani hanno questo di buono: amano cani e canetti); non per il volume pazzesco degli altoparlanti, vecchia tecnica per sopperire alla scarsità di partecipanti; e neppure per l’adesione dell’ANPI – l’associazione nazione dei partigiani divenuta a tutti gli effetti “associazione nazionale pro-pal italiani”.
Lo stupore nasceva dal numero di donne velate con l’hijab e lo chador, davvero considerevole rispetto al modesto numero di partecipanti.
Al Sempione nel senso di Parco se ne vedono parecchie di ragazze velate con l’hijab. Studentesse o generiche sbarbine, conversano con le amiche sdraiate sull’erba. Ho l’impressione che l’uso che ne fanno sia sostanzialmente legato ad una moda identitaria, come lo sono stati un tempo i Ray-Ban, le Vans o i secchielli Vuitton (veri o falsi). Un vezzo, un marcatore di tendenza che pare abbia attecchito in molte città occidentali. Tuttavia, per molte delle donne in corteo indossare l’hijab o lo chador non mi pare fosse dettato dalla moda del momento. Sono persone invecchiate precocemente, infagottate in abiti privi di forma, rese cilindriche dalle gravidanze; si riconoscono a distanza per via della faticosa camminata che ricorda l’oscillare dei pinguini. Difficile pensare che per tutte (tutte, ma proprio tutte?) di libera scelta si tratti; che la cultura, la tradizione familiare, l’ignoranza (la paura?) non abbiano esercitato un ruolo.
Certo, qualcuno potrà obiettare che non tutto il mondo musulmano è questo; che non tutto l’islam è questo; che non tutto l’islam ha il terrore della donna al punto da esserne nemico. Che non tutto l’islam ammazza le figlie che non vogliono la vita dei padri; E anzi, che in molti occidenti la donna è sottomessa al padre, al marito, alla famiglia; che fino a pochi anni fa in Italia vigeva il delitto d’onore, il matrimonio combinato e il suo contraltare, la fuitina. Che in molti occidenti dell’Occidente i maschi scannano le femmine quando queste ultime ne hanno abbastanza di loro. Vero. Ma altrettanto vero che in tutti gli occidenti che compongono l’Occidente le sopravvivenze medievali sono state combattute: la legge dello Stato punisce i padri (e i mariti) padroni. In una parola, in tutti gli occidenti dell’Occidente la legge dello Stato non ha nulla a che fare con la religione, qualunque religione. Di fatto in tutti gli occidenti dell’Occidente vengono tutelati e promossi i diritti inviolabili dell’uomo: “il diritto alla vita e alla salute, la libertà di pensiero, di parola e di stampa, la libertà di poter praticare liberamente la propria fede religiosa e politica, la tutela della riservatezza, la possibilità di essere difesi se accusati anche se non si può sostenere le spese di un avvocato, il rispetto della proprietà privata e della persona”.
I diritti però non sono per sempre. Come l’acqua, se stanno fermi, se non vengono costantemente messi all’opera, imputridiscono sino a marcire. Ieri i pro-pal marciavano lentamente, al punto da consentire allo spettatore il ripetersi delle parole d’ordine. Forse l’eccessivo volume mi ha intronato, ma ho la contezza di non aver udito neanche un urlo contro Hamas, e neppure uno slogan in favore degli ostaggi. Sarà di certo un caso.