Come e perché accadono le cose? Me lo chiedo ancora una volta, pur sapendo che non avrò una risposta soddisfacente. L’altro giorno ho letto una cosa attribuita a Spinoza, personaggio molto di moda ultimamente, ovvero l’idea che se una pietra che rotola potesse pensare, penserebbe di rotolare liberamente. “Proprio questa è quell’umana libertà, che tutti si vantano di possedere e che solo in questo consiste, che gli uomini sono consapevoli del loro istinto e ignari delle cause da cui sono determinati”. Niente male, vero? Quali sono le cause per cui, anno dopo anno, decennio dopo decennio, continuiamo a fare (o non fare) le stesse cose? Perché ripetiamo all’infinito schemi muffiti come il gorgonzola scordato nel frigo, pensando che ogni ripetizione sia inevitabile? Perché diamo per scontate e ovvie situazioni e contesti che in assoluto non lo sono affatto?
Questo, tra le altre cose importanti che mi stanno capitando, è il mese della Berberova. Potrà sembrare una cosa insignificante se non futile, eppure sono certo che i quattro amici che hanno la curiosità di leggere questa fanzina capiranno che non lo è. Quando si scopre un autore – ogni scoperta del genere, va da sé, non può che rispettare tempi e modi rigorosamente individuali – si scopre non solo e non tanto il suo mondo, il suo modo di vedere il mondo, ma in relazione anche (e soprattutto) il nostro. Che non sapevamo di possedere. Che giaceva dimenticato in una soffitta della mente. Che avevamo colpevolmente scordato sino a quel momento. Perché pensare (il pensiero emotivo come quello razionale) è eminentemente fatica. E si sa, fare fatica non piace quasi a nessuno nella nostra sciagurata epoca.
Non leggo la poesia della Berberova, non ancora per lo meno. Forse non la leggerò mai. D’istinto, escludendo Brodsky, la poesia russa del Novecento mi sembra estranea e lontana; dopo “La terra desolata” di Eliot, la sola poesia che sento contemporanea è quella della Szymborska: la poetica del quotidiano narrata con l’ironia dell’antiretorica. Ma ho incontrato la Berberova de Il corsivo è mio, ed è stato un incontro di sapore quasi proustiano: c’è la storia della sua vita in questo libro e la sua idea di vita: “Voler leggere, voler pensare, voler sapere”, dice di se stessa bambina, ancora indecisa se fare il pompiere, il postino o il poeta.
Mi correggo: non c’è solo la storia della sua vita. C’è il Novecento visto da una prospettiva unica (la Russia zarista e poi rivoluzionaria) e dagli occhi acutissimi di una giovane donna che sa pensare e ancor meglio sa (de)scrivere. Il marcio della Russia zarista condensato in una pagina: la leggi e tutto quello che hai già letto – saggistica, storiografia, opere politiche, letteratura – appare perfettamente riprodotto e condensato. E’ questo il genio di uno scrittore? Certamente sì, anche.
(E la mente inevitabilmente corre a se stessi, al percorso compiuto negli stessi anni di formazione, quando a fatica se non con strazio, si cercava di uscire dall’adolescenza e di diventare persona).
Il Novecento ci ha insegnato, sostiene Berberova, che solo i paesi sottosviluppati fanno le rivoluzioni; quelli evoluti sanno trovare altre strade per il cambiamento. Come darle torto, oggi quando la storia si ripete inesausta, monotona, insensata? Quando le pietre che noi siamo continuano a rotolare convinte di muoversi in piena libertà?