In questo stato

By on Nov 26, 2017 in Contemporaneità

Mi siedo al margine della strada.

Il guidatore cambia la ruota.

Non sono contento di dove vengo.

Non sono contento di dove vado.

Perché guardo il cambio della ruota con impazienza?

(Bertolt Brecht)

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Mi è tornata in mente questa poesia che credo appartenga agli anni ’40 del secolo scorso: una buona rappresentazione del nostro stato di così confusa insoddisfazione. Siamo palesemente infelici senza sapere bene esattamente di cosa, un’infelicità “piena di desideri” che pure non sappiamo neppure descrivere con certezza (e se così non fosse non saremmo confusi e, forse, neppure infelici).

Quale differenza tra la nostra “impazienza” è quella di Brecht? Il suo è un mondo intriso di ideologia e di ermeneutica (le due componenti sono praticamente indisgiungibili). Il massimo della sua fortuna si ebbe negli anni ’50 e ’60, quando il suo teatro era imprescindibile e la sua poetica d’avanguardia. Poi con il tramonto del “pensiero forte” e la progressiva deriva del post-moderno, anche Brecht è finito in soffitta insieme a Loreto impagliato di nonna Speranza.

E il nostro di mondo? Ci siamo persi in un infinito presente privo di classi, di gruppi sociali, di comunità distinguibili: anche la società, come postulava con sorridente ferocia la signora Thatcher, sembra completamente sparita. Individui che non sanno più (non vogliono più) diventare popolo, massa atomizzata (bell’ossimoro!) che si mobilita in modo minaccioso e imperscrutabile, di regola “contro” e quasi mai “per” qualcosa. Individui che non sanno, ma vorrebbero non sapendo cosa.

Eppure il mondo di Brecht – lungo l’arco del Novecento che ha attraversato e vissuto – è infinitamente più orribile del nostro. E’ il secolo di due guerre “moderne” che più moderne non si può: la mobilitazione totale dei materiali e delle ideologie. Il secolo della ferocia, della volontà di potenza, dell’infamia. Che abbiamo chi scordato e chi, la maggioranza inconsulta e inconsapevole, mai neppure saputo.

L’eterno ritorno del mito in tutte le sue forme e varianti – la razza, la nazione, la fede – è il prezzo da pagare. Abbiamo scordato da dove veniamo, non sappiamo dove stiamo andando. Ma in compenso siamo egualmente scontenti.