Medito, m’indigno o mi faccio uno sciampo?

By on Set 6, 2015 in Comunicazione, Contemporaneità

Apro sull’ipone “Good Morning Italia”, la rassegna stampa quotidiana a cui mi ha abbonato VM la salvifica e misericordiosa, e tra le notizie di ordinaria bestialità m’imbatto in un rilancio da “Internazionale”. Tracey Thorn musicista (non mi chiedete cosa suoni) afferma di nutrire nei confronti della cosiddetta mindfulness, ovvero l’attenzione consapevole che si sviluppa attraverso la meditazione, sentimenti contrastanti. E chi se ne frega, potrebbe essere il più che ragionevole commento se la conclusione non fosse la seguente: “meditare è utile ma non rinunciamo alla rabbia”. A ben pensarci, è vero: siamo diventati una generazione di meditatori. Laddove le nostre “meditazioni” hanno assunto il (comodo) significato di pratiche finalizzate alla contemplazione di sé con particolare riguardo al proprio personale ombelico. (Ciascuno possiede il proprio, ad eccezione – forse – del povero Adamo.).

Non potendo cambiare il mondo come con infantile presunzione una generazione credette una cinquantina di anni fa, vittime del riduzionismo abbiamo rinunciato a cambiare anche noi stessi. Così la cultura della “meditazione” che ha sostituito con allarmante rapidità quella della “rivoluzione”, ha finito con l’assumere forme e nomi sempre diversi pur restando di fatto sempre uguale a se stessa: un centone di pratiche stravolte dalle mode, strategie dissimulatorie di sopravvivenza urbana, uscite di sicurezza per astrarsi, non pensare, non soffrire, non impegnarsi.

Purtroppo l’impegno è come l’età: anche se cerchi di scansarti prima o poi ti piomba addosso. Se rinunci (all’età come all’impegno) la sola soluzione è tentare di farsi abbattere al canile municipale truccato da nutria in sovrappeso. Insomma, come direbbe Catalano se si decide di vivere non si scappa dall’incalzare dell’età, e neppure aggiungo io dal richiamo dell’impegno; va da sé che la cosa riguarda unicamente gli individui dotati di un minimo comun denominatore morale, al netto quindi delle mascalzonate quotidiane di Grillo e Salvini.

Sempre a proposito di impegno, leggevo nei giorni scorsi del Governo Islandese superato (a sinistra) dai suoi governati. Si era impegnato a dare ospitalità ad una quota pari a 50 rifugiati doc (la distinzione tra rifugiati e migranti è di sostanza e non filistea). Scrivo sinistra perché, dalla Rivoluzione Francese in poi, la solidarietà (quella effettiva e non pelosa) è sempre stata appannaggio culturale della sinistra rispetto alla destra, ovunque sempre restia a farsi carico degli scazzi dei più deboli e degli sfigati in genere.

Interpellati da un sondaggio (speriamo autorevole) pare siano 11.000 i cittadini che si sono dichiarati disponibili ad ospitare un profugo a casa loro; la notizia mi ha fatto se non meditare di certo pensare. Mi sono chiesto se, e chi, sarei disposto ad ospitare. E per quanto. Vivo (francamente molto bene) in 90 m2. Dispongo però di un bagno solo. Chiaramente la scelta si restringe ad un profugo di sesso maschile, per più che ovvie ragioni. Meglio non piccino, e neppure adolescente. Siriano, libico, oppure irakeno? Cristiano, ortodosso, musulmano? (Laico lo escludo a priori per ragioni statistiche: siamo in tanto pochi sul pianeta). Bel problema: pensate se mi capitasse in sorte un fedele duro e puro che prega cinque volte al giorno e canta a squarciagola neanche fosse un monaco benedettino. Dovrei anche eliminare ogni traccia di alimenti impuri – vade retro amato maiale!- neanche cadesse ogni giorno la Pasqua ebraica. E come la mettiamo con l’orientamento a La Mecca? (Per non parlare del tappeto).

Per fortuna è intervenuta la Merkel. La decisione di ospitale 800.000 profughi siriani è un colpo di genio. Politico e umanitario. Umanitario e politico. Ci ha messo un po’, ma ce l’ha fatta. Perché è un genio la Merkel?. In un colpo solo conquista la leadership culturale europea dopo quella economica, risolve i problemi demografici della Germania e si becca pure i meglio fighi del bigoncio: tra i siriani abbondano gli ingeneri e i laureati in genere. (della serie: è molto meglio un rifugiato colto che parla tre lingue e sa un mestiere, piuttosto che uno disperato e ignorante, carne da raccolta da dare in pasto ai “caporali” italiani del nostro evoluto meridione).

Essere buoni e fare cose tradizionalmente di “sinistra” non è quindi impossibile se ci riescono persino i cristiano-democratici tedeschi; non è neppure necessario offrire ospitalità personale, con tutti gli imbarazzanti problemi che ne derivano. E’ solo un problema di umanità, buon senso e organizzazione. Se la smettessimo (nell’ordine) di meditare, incazzarci a vuoto e farci l’ennesimo sciampo, forse ce la potremo fare pure noi italiani, che dite?