Avvertenza: questa madeleine non tratta dell’elezione del nuovo pontefice.
La mattina siamo troppo rincoglioniti per rivolgerci parola. Tra biscotti e caffè abbiamo concordato di riempire il silenzio con le rassegne stampa (ce ne sono a bizzeffe, persino più numerose dei quotidiani da cui traggono spunto). Purtroppo quelle che ci piacevano hanno perso smalto, così nostro malgrado ora ascoltiamo i podcast, l’ultimo prodotto della modernità massmediologica.
Parlo di un fatto personale in ragione di un interesse professionale. Il podcast è uno strumento di comunicazione come lo sono le affissioni, le campagne stampa o gli spot televisivi; e proprio come qualsiasi altro strumento inventato per comunicare qualcosa a qualcuno – letteratura, teatro, cinema, televisione, pubblicità – il suo funzionamento dipende dal rispetto di poche, tutto sommato semplici, regole. Come accade a un’automobile una volta girata la chiave.
Il podcast prima ancora che dalla qualità dei contenuti si giudica dalla forma: voce, recitazione, tempi teatrali. Nessuno dei viventi ha udito il Bardo recitare al Globe, eppure non v’è dubbio che anche i versi di Shakespeare per quanto meravigliosi richiedono una qualche abilità recitativa. Per venire ad esempi alla portata della nostra memoria, in molti ricordano con affettuoso imbarazzo il Giorgio Bocca intabarrato nei suoi Missoni d’ordinanza inciampare nei tempi televisivi come un qualsiasi contadino cuneese. Banalmente, lo spazio che il Cavalier Berlusconi gli aveva offerto non faceva per lui, giornalista brillantissimo ma totalmente incapace di governare il medium televisivo. Statico come un armadio a tre ante, privo della reattività che la televisione richiede, ingoffato da un eloquio lento e greve come un cielo in attesa di temporale, durò pochissime puntate.
Tutto il contrario Indro Montanelli, perfettamente a suo agio davanti alle telecamere e particolarmente bravo in coppia con il mai abbastanza compianto Beniamino Placido, uomo di singolare bruttezza che pure stava davanti alle telecamere come un cigno nelle acque del Tamigi.
Fare teatro, fare televisione, fare radio è un mestiere altro rispetto alla scrittura (no, caro amico lettore, non è un’ovvietà). Chi scrive, bene se non addirittura benissimo, è intimamente convinto che questa dote gli attribuisca il diritto di essere riprodotto dall’elettrodomestico che garantisce universale ubiquità, il sogno neanche tanto segreto di quasi tutti gli scriventi (di talento e non). Il povero Ungaretti che vecchissimo insiste a commentare Omero in tivù, è un abominio: una mancanza di rispetto della sua età veneranda e della dignità dell’ascoltatore. Oggi c’è gente la cui scrittura convincerebbe Mosè a riparire il Mar Rosso tanto son bravi, ma messi con la bocca attaccata al microfono fanno scappare ebrei, egizi e pure i cammelli. Recitare, raccontare, animare, intrattenere sono mestieri che richiedono un po’ di vocazione.
Tra i podcast condotti da giornalisti che si limitano a leggere (male) il loro pezzullo, spicca “Pizza surgelata” di HuffPost. L’accorto direttore si è scelto due spalle ultra-professionali come Andrea Lucatelli e Riccardo Quadrano: lo contengono dandogli tempi e ritmo in modo perfetto. Sanno fare podcast perché lavorano da una vita in radio, e in tal modo nonostante siano di Roma onorano l’aurea legge lombarda “ofelè fa el to mesté”.