Un belato s’aggira per l’Europa

By on Set 19, 2014 in Comunicazione, Contemporaneità

Nel più che ragionevole numero di nevrosi che mi fanno compagnia, per mia fortuna non figura la superstizione e neppure strane inclinazioni per la numerologia e la cabala. Devo però mio malgrado ammettere che anche a me fa un certo effetto constatare la corrispondenza tragico-farsesca che corre tra il 1914 e oggi.

Un secolo fa il più evoluto continente, la regione che aveva conquistato un livello di sviluppo altrimenti impensabile nella storia dell’umanità, precipitava nel più stupido e immane massacro. Tamerlano, Gengis Khan, Riccardo cuor di Leone e pure il feroce Saladino, sono mammolette vezzose al confronto della bestiale ferocia che le gerarchie militar-imperiali esibiranno per cinque lunghi anni (cinque anni filati!) mandando con consapevole indifferenza la meglio gioventù europea al macello.

Come diceva quel signore nato a Treviri e sepolto a Londra, la storia si presenta sempre due volte: la prima sotto forma di tragedia, la seconda a mo’ di farsa. Così è stato un sollievo leggere oggi che i salmonidi di Scozia hanno perduto il referendum; soddisfazione di breve durata, chè poche ore dopo ho letto la notizia che sì, anche le isole Shetland vorrebbero andare al voto (per tenersi il petrolio).

2014 come 1914? Trionfo dei (piccoli) nazionalismi, esaltazione del localismo più becero, sconfitta totale del senso – anche piccolo, anche modesto – di comunità? Così parrebbe. Una nuova linea ferroviaria veloce? Ma certo, beninteso purché NIMBY (Not In My Back Yard). Un bel campo nomadi? Famolo, beninteso purché NIMBY. Solidarietà umana, solidarietà sociale? Of course, ma non a spese mie.

Insomma che i migranti, chi scappa dalla guerra e dalla fame, migrino un poco più in là e facciano la cortesia di non annegare nel mio mare d’agosto giusto quando sto per calare il gommone. Per nostra fortuna da qualche tempo è apparso un attore nuovo la cui sola presenza potrà forse aiutarci a ritrovare l’identità perduta nella piccola indifferenza quotidiana, nel localismo nazionalistico che soffoca l’idea d’Europa come i serpenti inviati da Atena per punire Laocoonte.

Il suo nome è un breve acronimo: ISIS. I nuovi e più agguerriti tagliagole che usando a menadito la nostra più avanzata tecnologia – la retorica quale arte della comunicazione – forse ci costringeranno a riflettere. Brutto segno davvero quando, smarita l’idea di sé, c’è bisogno di un nemico per riuscire a ricordare chi si è. Chi si è stati. Chi si spera di poter continuare ad essere.

 ***

 Il post finiva qui, quando il drin del mailer mi avvisava dell’arrivo di una nuova lettera. Non era una promozione, una menata, un sollecito. Era (è) una lettera di una delle persone che stimo di più, Luca Vasco. Contrariamente alle mie abitudini di discrezione, lo nomino per nome e cognome perché desidero onorare la sua vita e il suo lavoro; chi ha la curiosità di saperne di più troverà pane per i propri denti sul web.

Luca ha realizzato un video sulla Siria. Lo trovate all’url http://youtu.be/-tpot8-Kua8.

Fatelo girare per favore. Questo il racconto di Luca

Da mesi sto seguendo da vicino le vicende dei siriani in fuga dalla guerra e da altri orrori che, per pietà, non vi elenco. L’obiettivo, inizialmente, era quello di seguire l’accoglienza dei profughi a Milano nei centri di accoglienza della cooperativa Farsi Prossimo e di costruire un video per loro, come spesso accade negli ultimi anni.

Ho radunato quindi tutto il repertorio foto e video di cui disponevo sulla cosiddetta “Emergenza Siria” (incluso quello girato a Milano per Farsi Prossimo)  con l’intento di raccontare in qualche modo quello che molte persone ancora oggi non sanno, non possono, non vogliono sapere. E ciò che a Milano molti, moltissimi, non hanno visto e non stanno vedendo.

Non sapevo da che parte iniziare, perché ero forse troppo coinvolto emotivamente e vedevo troppa approssimazione, troppa cialtroneria nelle decisioni politiche, organizzative e amministrative. E troppa miopia su come sarebbero poi andate le cose. Quando sei “fermo”, come me, osservi molto attentamente ciò che ti gira attorno.

 Ho chiesto, in questi mesi, mille volte a persone che come voi leggono e si informano, che cosa sapessero della Siria e dei siriani a Milano. Ma ogni volta la risposta era sempre un imbarazzato silenzio, o qualche corretta frase di circostanza. 

Allora, con l’aiuto di un po’ di rabbia e di sconforto, mi sono deciso ad auto-produrre questo video, allo scopo di rompere almeno quel silenzio.

Gli ho dato un titolo (Syria/Stockholm via Milano) e ho costruito il percorso a ritroso, sfruttando come filo conduttore le solite domande sui massimi sistemi: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.

Non si può combattere, né smettere di combattere. Non si può tacere e però neanche parlare, o urlare, senza il rischio di cadere nella più deprimente banalità e nei luoghi comuni.

Meglio quindi lasciar fare alle immagini e alla musica. Sperando che almeno la percezione di ciò che sta avvenendo riesca a svegliarci dal letargo e a farci “restare umani”. 

Oggi la Palestina nasconde l’orrore della Siria, dell’Ucraina, dell’Eritrea (e non completo l’elenco) ma non c’è silenzio che sia più complice delle tragedie nascoste o anche solo dimenticate.

Il video dura 13 minuti – troppi per il web, lo so, il “massimo dell’attenzione” è di 7, santo cielo! – ma l’ho pubblicato così perché credo che chiunque possa trovare meno di un quarto d’ora della sua giornata per capire cosa sta succedendo. A Milano, a Gaza, in Siria. Ovunque.