Gianni o della Verità

By on Feb 22, 2015 in Filosofia

“C’è una virtù che ha fatto la sua comparsa nel V secolo avanti Cristo e di cui si sono perse le tracce nel V secolo dopo Cristo. Il suo nome è parresia. Il suo significato è: “Dire la verità”.

 

La mai abbastanza lodata BC mi segnala un’articolo di Le Monde. Riguarda un convegno tenuto nei giorni scorsi a Parigi. Il tema, indovina indovinello, riguarda ancora monsieur Heidegger e il suo rapporto con gli ebrei.

Temo che dopo questa premessa tre quarti dei quattro sfaccendati che affettuosamente insistono a seguire le mie madeleine chiudano il loro browser e mi mandino, sia pur molto affettuosamente, ad espletare i miei processi peristaltici. Non fatelo, vi prego. Continuate a leggere: il tema non è il macellaio di Meßkirch, ma la verità.

Come ben sappiamo, organizzare un convegno di filosofia non è come una partita a freccette. Ci vogliono mesi, se non anni, chè le comunità accademiche sono persino più rissose di un’associazione dopolavoristica di poeti dilettanti. Orbene, il complicato convegno “Heidegger e gli ebrei” è finalmente pronto quando, orrore & raccapriccio!, sulla capa degli organizzatori si abbatte la notizia della pubblicazione dei famosi “Quaderni neri”.

Lo studioso Jürgen Kaube, dopo aver letto le 1300 pagine scritte dal 1931 al 1941, testo giunto in libreria a disposizione di tutti, chiude così la questione: Martin Heidegger fu un nazista? Sì. Martin Heidegger fu un antisemita? Sì. Di più: nelle pagine dei Quaderni emerge come il “periodo del ritorno agli studi lontano da incarichi ufficiali non fu causato da un drastico ripensamento, l’ammissione di un errore” (come dichiarava Heidegger nell’intervista concessa allo Spiegel»nel 1966) “ma, anzi, il frutto di una delusione: i nazisti non erano all’altezza delle speranze che il filosofo nutriva nella loro azione”.

Sul settimanale “Zeit” lo studioso Thomas Assheuer conclude in modo tombale: “Se anche in queste pagine fosse riconoscibile un pensiero, i Quaderni sono un delirio filosofico e un crimine del pensiero». Assheuer cita i molti tentativi compiuti di ripulire l’immagine del filosofo dalle accuse più infami. Ora però i “Quaderni neri”, scritti senza cancellature né correzioni come i testi destinati alla pubblicazione, dovrebbero fare definitiva chiarezza: lo sterminio degli ebrei, come afferma il filosofo Emanuel Faye, non ha nulla a che fare con la filosofia.

Questione risolta? Il condizionale è d’obbligo: quante volte i revisionisti e i negazionisti provano a riscrivere la storia negando e alterando i fatti? Dal Mussolini “buono”, agli “Italiani “brava gente”. Dai gas che l’Esercito italiano non avrebbe mai usato in Abissinia, all’inevitabilità delle purghe staliniane – “erano tempi difficili” è la scusa ufficiale – sino agli “errori” delle rivoluzioni: a Cuba incarcerano dissidenti, poeti e omossessuali, però c’è la migliore sanità del Sudamerica…”.

Riscrivere la storia, negando la realtà riproponendo fatti mai accaduti o falsificati e riproposti come lancinante novità, è da sempre un classico della reazione. Conservazione e reazione sono le più acerrime nemiche della verità. Meno si sa, meno si può venire a sapere; meno si sa, meno il mondo cambia e meno potrà cambiare. In questo senso l’Illuminismo è il nemico che continua ad inquietare i sonni dei reazionari di ogni epoca: la verità e il sapere sono al servizio dell’emancipazione, della crescita e della libertà individuale.

Ma che De Maistre sia un lucido e acerrimo nemico della verità e del sapere, non fa specie. Più incredibile, e per certi versi più preoccupante, è quando questa operazione di abbandono della verità (e della sua ricerca) viene compiuta da chi, come Gianni Vattimo, si ritiene appartenente all’area progressista perchè considera la verità negativa in quanto tale. E perchè, di grazia?

Il suo saggio “Addio alla verità” viene così presentato: “Il tramonto della verità è la rappresentazione più fedele della cultura contemporanea: questo vale, secondo Gianni Vattimo, non solo per la filosofia, la religione e la politica, ma anche e soprattutto per l’esperienza quotidiana di ognuno di noi. La cultura delle società occidentali è – di fatto, anche se spesso non di diritto – sempre più pluralista. I media mentono, l’informazione e la comunicazione sono un gioco di interpretazioni e ai politici si consentono molte violazioni dell’etica, e dunque anche del dovere di verità, senza che nessuno si scandalizzi. Tuttavia, la nostra società “pluralista”, come mostrano ogni giorno le discussioni politiche, continua a credere alla “metafisica” idea di verità come obiettiva corrispondenza ai fatti e si illude di creare l’accordo sulla base dei “dati di fatto”. Prendendo radicalmente le distanze da tutte le pretese di fondare la politica su un sapere scientifico, fosse pure quello dell’economia e della tecnica, Gianni Vattimo sostiene che il solo orizzonte di verità che oggi la politica e la filosofia hanno il compito di cogliere, esplicitare e costruire consiste nelle condizioni epistemologiche del dialogo sociale e interculturale”.

(Non so cosa significhi “condizioni epistemologiche del dialogo sociale e interculturale”. O meglio, temo di comprenderlo se penso alle prese di posizione riguardo alle violenze NoTav ed altre sciocchezze dell’anziano filosofo. Sulla bontà e l’efficacia del “dialogo interculturale” proporrei a Vattimo di rivolgersi ai signori dell’ISIS, notoriamente molto interessati ad esplicitare il confronto politico-filosofico…).

Quello che so è che aderendo all’invito di Vattimo sulla negatività della verità ogni proposizione diverrebbe proponibile senza rischiare il ricovero psichiatrico coatto. Esempi: la Terra è piatta; 5 + 5 = 17; Gioachino Rossini ha scolpito di suo pugno il David attribuito erroneamente a Donatello; Leonardo da Vinci è nato a Bari (e quindi il suo nome autentico è Leonardo da Barovinci; Bush, Berlusconi e Putin non hanno mentito una sola volta in vita loro.

Assurdità da bar sport, facezie che potrebbero diventare menzogne tragiche: la Shoah non è mai esistita; la città di Gaza è un parco-giochi per i piccoli palestinesi. Se per il pensiero costruzionista e post-moderno “non esistono fatti, solo interpretazioni”, tutto è possibile, tutto sostenibile. Anche impiegare tempo e denaro (spero non pubblico) continuando ancora oggi ad interrogarsi sul tema “Heidegger e gli ebrei”.

Nota: Il titolo “Gianni o della verità” rimanda a una raccolta di racconti di Arno Schmidt intitolata “Alessandro o della verità”. Leggere Schmidt fa pensare al miglior Borges trasportato per incantamento nell’incommensurabile cupezza della foresta teutonica. (Detto fra noi, Schmidt è un genio assoluto della letteratura del Novecento. E questo amici miei è un fatto e non un’interpretazione 🙂