L’altra sera chez Rameau

By on Set 16, 2014 in Arte, Contemporaneità

L’altra sera al Conservatorio era in scena l’orchestra di Jordi Savall, questo meraviglioso musicista catalano che da solo vale un intero concerto. Una delle orchestre di Savall, per la precisione. Sala strapiena di spettatori appassionati e (presumo) competenti: la musica barocca in generale, e il programma della serata in particolare, presuppongono la presenza di “ascoltatori forti”. Pubblico di mezza età, con una robusta presenza di delegazioni della terza e della quarta. Pubblico caldissimo, al punto da convincere Savall a concedere ben due bis (rarità).

Programma tutto Rameau, cioè tutto grandeur Luigi XV. Programma intelligentissimamente concepito da Savall: una selezione delle più importanti opere teatrali di Rameau proposta nella forma antologizzata della suite orchestrale.

Che effetto fa ascoltare Rameau oggi, lui che fu sempre considerato il portabandiera del gusto classico, dell’aristocrazia, il difensore per antonomasia del melodramma francese? Al di là della meraviglia dell’orchestra barocca, del suono straordinario degli strumenti antichi, della gioia della danza che la musica di Rameau trasmette, si avverte anche il senso rarefatto del tempo che nulla ha più a che fare con noi, come quando al museo di storia naturale ci si imbatte sbigottiti nella sagoma di un animale preistorico che si è estinto, e senza neppure saperlo.

Un effetto straniante (piacere / lontananza / estraneità/ piacere/ lontananza) che mai si prova ascoltando non dico Bach – nostro fratello maggiore, nostro padre, nostro contemporaneo, nostra affettuosa consolazione e guida – ma molti dei protagonisti così detti “minori” della musica settecentesca. Rameau no: è un (magnifico) fossile, un nautilo, un dinosauro con le piume. Un reperto che ritrova vita grazie al bernoccolo archeologico di gente come Savall.

Si diceva di noi nell’intervallo. Della nostra società, del nostro mondo di europei – italiani e francesi in particolare – che sarebbe meraviglioso e dorato e pieno di (immeritati?) privilegi. Il posto più bello dove vivere e morire. Se non fosse, il nostro mondo, senza speranza. Perché vecchio, privo di spinta, reso asfittico dalla mancanza di vitalità.

Come il mondo di Rameau, ferocemente e splendidamente assiso sull’orlo del burrone, come il dinosauro che sta per estinguersi e ancora non lo sa; l’89 è ancora lontano certo, ma i brontolii della Rivoluzione sono già qualcosa di molto simile a un’ epifania. Un piccolo brivido all’uscita della sala nel caldo umido del settembre milanese.