Quando, da qualche parte non ricordo dove, ho visto “La scelta di Abramo” non ho esitato. Neppure il tempo di controllare l’avessi già quel libro, l’avevo ordinato agli amici di via Pasubio. Pensavo si trattasse della lettura laica dell’evento più straordinario dell’Antico Testamento, un padre che si accinge a sacrificare il figlio per obbedire all’ordine di Dio. Pur essendo indifferente alla religione, branca della letteratura fantastica secondo la saggia definizione di Borges, mi interessava il commento di Wlodek Goldkorn; lo immaginavo succoso come una melagrana matura, giusto per restare in tema di metafore mediorientali. Mi sbagliavo. Se avessi letto il sottotitolo o più banalmente la sinossi del libro, avrei compreso che Goldkorn in quel libro (la cui prima edizione è del 2006) affronta una questione assai più intricata e spinosa delle pur intricate vicende del fondatore delle religioni monoteiste.
Torniamo al sottotitolo del libro: “saggio sulle identità ebraiche”. Sulle è preposizione articolata plurale. Indica che le identità ebraiche sono più di una. Non è un’annotazione di poco conto. Sta a indicare che se si sbuccia il Novecento come una cipolla la questione ebraica è presente in ogni strato e per quanto accurati siano i nostri sforzi non se ne raggiunge mai il cuore. Una storia che ha avuto inizio con la Rivoluzione francese ed è deflagrata alla fine dell’Ottocento. Goldkorn la narra con la consapevolezza di chi ha lungamente lavorato per comprenderla (c’è un aforisma attribuito a Einstein che fa al caso nostro: “Non hai veramente capito qualcosa finché non sei in grado di spiegarlo a tua nonna”). Ecco, la questione più dolorosa e maledetta del Novecento, la questione ebraica che tutte le altre tiene insieme, Goldkorn la spiega benissimo. Non perché è un cantastorie, come lui si definisce con un pizzico di civetteria, ma perché ha scovato il bandolo di quel groviglio di filo spinato che sono i pensieri e i fatti del Novecento.
Un capo lo si ritrova nelle parole di Clermont-Tonnerre. Nel corso dei dibattiti all’Assemblea Nazionale francese sull’emancipazione ebraica sostenne che “agli ebrei tutto in quanto individui, niente in quanto nazione”. E’ il 1789 l’anno che ha cambiato il mondo. Ma la promessa è stata tradita. Come ha rilevato più di uno storico delle idee, la borghesia rivoluzionaria che promise libertà, fraternità ed eguaglianza, ha tradito anche le donne e gli omosessuali oltre agli ebrei.
Un altro capo lo teniamo in mano noi ogni volta che nelle strade, nelle piazze e persino nelle Università accusiamo l’ebreo di essere sinonimo di nazista “al servizio dello zio Sam”, quintessenza del cosmopolitismo annullatore dell’identità nazionale. “Quando la civiltà entra in crisi” scrive Goldkorn citando la Arendt, “il passato non è in grado di gettare alcuna luce sul futuro. Oggi siamo in una crisi di civiltà. E gli ebrei, come modello di integrazione riuscita in Occidente, beninteso, dopo la catastrofe nazista – integrazione in Israele; integrazione per coloro che, sempre in Occidente, hanno pensato di continuare a vivere nei loro paesi d’origine – sono di nuovo a rischio”. Quando viene negata la libertà di decidere la propria identità e di inventarsi il presente e il futuro.
Cosa è accaduto dopo la Shoah? Che succede ai sopravvissuti, alle centinaia di migliaia di profughi? Perché la percezione della Shoah come tragico prologo della redenzione è stata favorita dal prevalere della visione del mondo sionista dopo il secondo conflitto mondiale? Come sono stati accolti in Israele i superstiti della Diaspora? Quale relazione lega le vittime ai carnefici? Mi fermo qui.
Questo è un piccolo libro formato pocket di 127 pagine. E’ un saggio sulle identità ebraiche ma aiuta a riflettere su ogni identità nell’epoca in cui il pensare liberamente è messo a rischio. Questa non è una recensione: non scrivo recensioni. Parlo di ciò che mi ha appassiona, mi nutre e mi aiuta a mette in discussione vecchi pensieri e vecchie certezze secondo l’ammonimento di Kafka: “Se il libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio, a che serve leggerlo? Un libro deve essere l’ascia per il mare ghiacciato dentro di noi”. Questo dunque è un invito sommesso e affettuoso alla lettura di questo piccolo libro, a ragionare sulle sue tesi e a condividerle. Chi come me è nato nella metà del secolo scorso è consapevole d’essere vissuto sulle spalle di minuscoli giganti, gli eroi anonimi che hanno trasformato libertà inaudite nella storia dell’umanità in diritti scontati sino all’ovvietà. In un futuro non so quanto prossimo le conquiste costate fatica e sacrifici potrebbero essere vanificate. Il primo a pagare il conto sarà come sempre l’ebreo, subito dopo tutti gli uomini liberi che vogliono poter scegliere liberamente il loro destino.
PS
Chi ha fermato la mano di Abramo? L’angelo, come racconta la vulgata, o la coscienza di Abramo, l’uomo che dialoga con Dio e fa sì che Dio cambi idea?
