Giuseppe Antonio Borgese? Se escludiamo gli studiosi di italianistica e qualche sperduto lettore di “Rubè”, il suo più importante romanzo, nessuno ricorda la vita e le gesta di un intellettuale che ha contato parecchio nelle prime decadi del secolo scorso. Germanista, giornalista, critico letterario, poeta e drammaturgo, docente universitario, la sua parabola nazionale si concluse nel 1931 quando rifiutò di giurare fedeltà al regime e si rifugiò negli Stati Uniti, paese di cui prese la cittadinanza.
Devo al lavoro di Berardinelli e Marchesini* la possibilità di leggere un articolo pubblicato nel 1946. Si intitola “Gli intellettuali alla prova”. E’ scritto in un italiano secco e crocchiante: nonostante siano trascorsi settantanove anni pare prosa contemporanea (Borgese deve essersi assai giovato del soggiorno statunitense). Al di là della qualità di scrittura, è la lezione morale di Borgese ciò che conta. In pochissime pagine ricostruisce la sconfortante vicenda degli intellettuali italiani negli anni del fascismo trionfante: solo dodici docenti rifiutarono di firmare fedeltà al duce perdendo in tal modo cattedra e status; tutti gli altri, dal barone al peone della cultura, “tenendo famiglia” firmarono. (Amarissime le considerazioni di Borgese sulle giustificazioni “a posteriori” addotte da chi doveva salvare la faccia prim’ancora che l’anima).
Il paragrafo più interessante di questo interessantissimo articolo è lo spazio riservato a Benedetto Croce, l’intellettuale di riferimento si direbbe oggi dell’Italia pre-fascista. Il filosofo partenopeo non ne esce benissimo. Anzi, non ne esce affatto. Sostenitore del fascismo nei primissimi anni del ventennio, dopo il delitto Matteotti inizia a rendersi conto che il regime – sostenuto quale momentaneo portatore d’ordine – non è affatto momentaneo e l’ordine che instaura altro non è che una dittatura. Borgese, un tempo affine e vicino alle idee di Croce, ha parole di pacata ferocia nel descrivere la vicinanza concettuale del sistema filosofico crociano con la statolatria fascista. E’ questo, secondo Borgese, l’impiccio che costringe Croce alla lunga e faticosa riconsiderazione dei propri principi filosofici per approdare ad una sorta di liberalismo.
Una volta tacitato il più autorevole pensatore italiano, ridotto in carcere Gramsci – il più combattivo e il più originale – furono posti sotto ricatto gli insegnati e gli universitari in virtù dei sagaci consigli che il sagace ministro Gentile offrì al duce del fascismo. Così, come conclude Borgese, “pochi mesi dopo la formalità del giuramento, quasi tutti i professori universitari d’Italia furono, anima e corpo, alla mercè di Mussolini, maestro elementare. Come tutte le piazzeforti della cultura italiana furono rase al suolo: perché non erano state forti affatto”.
Ogni riferimento a cose e persone a noi contemporanee è puramente casuale
* Saggisti italiani del Novecento, Quodlibet

