Un po’ meglio

By on Mag 5, 2019 in Contemporaneità, Filosofia

Perché esiste l’antisemitismo, che cosa è, si chiede Haim Bahrier, studioso della Bibbia, figlio di genitori scampati ai campi di sterminio.

Prima di citare la sua risposta (il suo tentativo di dare risposta) vi propongo quella non richiesta che mi diede qualche tempo fa un giovane ingegnere nel corso di una banale conversazione di lavoro: “non ho idea del perché la gente ce l’abbia con gli ebrei; tuttavia se da duemila anni sono nel mirino di tutti, qualcosa devono pur aver combinato”. A parziale discolpa del giovane (ma non giovanissimo) ingegnere sta l’incompletezza dei suoi studi, puramente e banalmente tecnici, e l’origine sociale più che modesta, cosa che di norma significa zero letture e dialoghi intergenerazionali limitati al “passami il sale” e al “vedi di non metterti nei guai”.

Le stesse motivazioni che secondo il “Pew Research Center”, uno degli istituti di ricerca sociale più importanti al mondo, sono alla base dell’intolleranza religiosa; nell’edizione 2017 dell’indagine il nostro paese si colloca ai primi posti per l’ostilità nei confronti dell’immigrazione e per il rifiuto di mondi culturali diversi dal proprio.

Due dati fra i molti offerti dall’indagine mi colpiscono. Sono le domande riguardanti l’apertura (la chiusura) a livello di nucleo familiare. Le “persone che non sono disposte ad accettare un musulmano come componente della loro famiglia” sarebbero il 43 % in Italia seguite dal 36% del Regno Unito e dal 34% dell’Austria; mentre le “persone che non sono disposte ad accettare un ebreo come componente della loro famiglia” sarebbero il 25% Italia, il 23% in GB, e 21% in Austria.

Se il primo dato, il rifiuto del musulmano, mi appare in qualche modo prevedibile se non addirittura inevitabile – al netto di ipocrisie e finzioni terzomondiste la vastità della distanza culturale è palese ed innegabile – il secondo mi sbalordisce; gli “ebrei” e l’ebraismo sono infatti parte integrante della vicenda europea al punto che non è letteralmente possibile pensare la storia del nostro continente e dei singoli paesi che lo compongono senza considerare il contributo del “pensiero ebraico” in tutte le sue forme, accezioni, manifestazioni.

Scoprirlo alla viglia del voto europeo dà un senso di vertigine: non esistono persone più “europee” degli ebrei d’Europa. O forse sarebbe meglio dire: non esistevano. Europei per attitudine, internazionalità, competenze linguistiche, curiosità e strumenti intellettuali. Europei che negli anni Trenta venivano invitati ad andarsene in Palestina dagli stessi che oggi gridano loro di andarsene dalla Palestina: sventurato chi non seppe, non volle o non poté raccogliere l’invito. (Amos Oz narra benissimo questa follia in “Una storia di amore e di tenebra”).

Perché esiste l’antisemitismo, che cosa sia, ha cercato di spiegarcelo e di spiegarselo Hannah Arendt nel suo “Le origini del totalitarismo”, ahimè temo con scarso successo. Non so se la spiegazione che ci offre il biblista dal volto che più ebraico non si può (mi piace pensare esprima la pacatezza e la mitezza degli chassidim intenti nello studio del Talmud al punto da scordare la fame e la sete) sia credibile e neppure se sarà convincente. La sento profondamente poetica, e a me fortunato non credente tanto basta.

Sostiene Haim Bahrier: “Partendo dalla Bibbia, patrimonio culturale dell’ebraismo: in ebraico antisemita si dice antishem, da Shem, uno dei figli di Noè, quello che fa meglio qualcosa che suo ffratello Ham ha fatto male. L’episodio a cui mi riferisco è quello in cui Noé ubriaco e nudo viene trovato dai figli. A differenza di Ham o Cam, Shem e Jafet da cui deriveranno rispettivamente Israele e Grecia, prendono una coperta e coprono il padre, cioè espiano la sua colpa, fanno un gesto in più rispetto al fratello. Questo è ciò che ancora rimproveriamo all’ebreo: di fare un po’ meglio, di sentire come obbligo morale e culturale di fare un passo in avanti. Saperlo non può che giovare al dialogo e noi che siamo nella diaspora abbiamo l’obbligo di dialogare con gente di buona volontà, anche dell’Islam”.

Fare un po’ meglio, fare un passo in avanti. Non necessariamente insieme. Ma neppure inevitabilmente contro. Domenica 19 spero di ascoltare la sua lezione.

maxresdefault